Ibridazioni e identità Transiti e rimandi tra i linguaggi della scultura e dell’architettura

di Eleonora Fiorani

La mostra Ibridazioni e identità, Transiti e rimandi tra i linguaggi della scultura e dell’architettura, attraverso la presentazione dell’opera dello scultore Alberto Gianfreda, Variabili, in legno e ferro, e il progetto dello Studio Premoli/SilviaNizzoli, archi. Michele Premoli, Domenico Cavallo, MMA – Milan modern art village, un progetto su scala urbana di riqualificazione e trasformazione di una zona industriale, vuole sondare e interrogare i processi di trasformazione in atto nelle interazioni di architettura, scultura e metropoli contemporanea con i suoi linguaggi ibridi e nel suo essere evento e comunicazione. Lo spazio urbano è infatti il referente ideale di ogni ibridazione tra arti e architettura, tra forme dell’arte e forme della comunicazione, del loro essere diventate tutt’uno. E’ con i newmedia che oggi non solo si confrontano sia le arti che l’architettura, ma da essi vengono trasformate e “bucate”, dato che il plancton degli oggetti, delle interfacce e dei segni artificiali fa saltare i confini tra architettura, arti e mondo degli oggetti e spazi, creando dissolvenze incrociate, nel generale processo di estetizzazione. Se è vero infatti che mai come ora architettura e arti sono uno dei grandi protagonisti e attrattori del flussi turistici nella città degli eventi, di cui ridefiniscono l’immagine, nel generale processo di convergenza tra economia, cultura, consumo e comunicazione, in cui è il consumo stesso a diventare atto estetico, proprio perciò rischiano di perdere la loro identità e il loro senso. E tuttavia non per questo o non necessariamente la specificità dei loro linguaggi si è dissolta.

E’ su questo punto che convergono il progetto presentato dallo studio di architettura Studio Premoli/Nizzoli e l’opera dello scultore Alberto Gianfreda che, attraverso la specificità dei rispettivi linguaggi, presentano due percorsi distinti che sondano i concetti di spazio e di tempo nella città contemporanea. Convergono infstti nella modalità di sentire e di operare sulla territorialità dei luoghi, ripensando la memoria stratificata dei luoghi, dei materiali, delle forme per produrre nuovi spazi che siano luoghi-simbolo del modo d’essere contemporaneo. E lo fanno interrogando lo spazio in evoluzione e prendendo a tema dell’opera e del progetto presentati il linguaggio della propria specifica arte, ripensandola nei propri processi costruttivi nel farsi opera e nel farsi luogo dell’abitare, per proiettarla verso il futuro.

Nell’opera di Alberto Gianfreda la riflessione sul senso attuale della scultura si declina sondando e sperimentando la sua matericità e le relazioni tra la forma scultorea e l’architettura. L’uso nell’opera di elementi che portano con sé una semanticità implicita nel materiale usato costituisce una rivalutazione semantica delle materia di cui è fatto il mondo. Nel far giocare alla materia un ruolo preponderante arricchendo gli impasti tradizionali o le sue possibili combinazioni entra in atto un rapporto di dialogo e di influenza reciproca tra materia e idea, una vera e propria equivalenza tra poetica e utilizzo di materiali e tecniche. Se, già nel costruttivismo russo è presente un’indagine sistematica dei materiali, e un’enfatizzazione della loro essenzialità, sono stati soprattutto gli artisti del secondo Novecento che hanno saputo vedere nei materiali più disparati tutta la loro capacità espressiva ed emozionale, facendoli diventano gli strumenti di un nuovo linguaggio artistico come nell’informale e diversamente nel materico e nell’arte povera in cui è la materia stessa che si esprime e si esibisce in quanto forma-materia all’interno di un’opera totalmente astratta. Per diventare azione nel mondo e dato esistenziale.

Ora, ciò che contraddistingue le opere di Alberto Gianfreda non è la ricerca e sperimentazione di materiali inusitati, come i materiali polimerici, cretti, combustioni su legno, ferri, plastiche lamiere di ferro, o di quelli nuovi e intelligenti, ma di nuovi mezzi espressivi, rintracciati nel movimento o nell’uso di materiali tradizionali come la terracotta coniugata con il ferro, il ferro con il legno e con la pietra e l’enfatizzazione di una materialità proferante autonomamente. Nell’uso della materia in quanto tale, con la sua composizione chimica, non c’è allora una feticizzazione della materia compositiva, ma l’interesse al “materiale”, alla sua “carne”, alla sua “pelle”, alla sua grana, è volta a dar vita a forme strutturate, modulari, insieme compatte e dinamiche, e in espansione. E contemporaneamente dall’innesto e confronto fra più materiali fa emergere nuove possibilità espressive, che creano congiunzioni inedite, mescolanze di linguaggi percettivi, spiazzamenti di culture, di temporalità, in grado di portare a un nuovo concetto di spazialità in divenire. Le fusioni creano rigonfiamenti e cambiamenti di colore con risultati ottici sorprendenti ed effetti spaziali e luminosi. giocati sulle diverse caratteristiche morfologiche e sulle diverse tensioni che li contraddistinguono. Questa presenza espressiva della matericità, che vuole coniugare insieme sacro e profano, il passato e il presente, mostra infatti che nell’estensione, nella pesantezza, nell’immobilità, la materia è in grado di farsi luce, vibrazione, movimento, colore, leggerezza, senza diventare “immateriale”. E nulla come la nuda elementarità dei materiali può dare corpo all’astrazione mentale, all’essere presenza che parla per pura presentazione, senza linguaggio.

Nel progetto architettonico la specificità disciplinare è nell’idea stessa di “villaggio dell’arte, nella sua valenza urbanistica di luogo costruito, di contenitore e di piazza, declinato in un involucro, un doppio cubo compatto e trasparente che diventa schermo dinamico e animato a scala urbana, e insieme oggetto amplificato nella circolazione immateriale di segni e messaggi con cui comunicare e proiettare l’arte su scala urbana, mentre ospita un luogo di formazione e sperimentazione dei nuovi linguaggi della creatività che può trasformarsi in spazio espositivo. Un progetto che si misura, introiettandola dentro di sé con l’architettura industriale preesistente, che viene valorizzata dalla leggerezza e trasparenza della nuova architettura e trasportata nel contemporaneo.

E dunque, proprio perché l’arte si confronta oggi con il fragore e l’eccedenza delle forme  e dei segni della metropoli, può allora scegliere giocare sulle potenzialità espressive dei volumi nello spazio e sulla loro capacità di metamorfosarsi in forme e strutture complesse, i linguaggi silenziosi delle cose, utilizzando una geometria elementare, o anche la riproduzione seriale, o i materiali industriali o quelli tradizionali per la loro semplice struttura: barre o trafilati di metallo, assi di legno, blocchi di pietra, per ottenere un surplus di senso: per poter incontrare il “divino cubo” nella terra della quattro dimensioni o per sognare il sogno della materia, come ci ricorda Bachelard , per il quale c’è un’“immaginazione della materia” che si presenta nella rêverie e nell’arte come ritorno all’immaginario primordiale degli elementi che accompagnano l’uomo in tutta la sua storia. Per cui l’artista sa immaginare non solo le forme e i colori, ma altresì la materia nelle sue virtù elementari. Ed è in essa che stanno i grandi germi della vita e delle opere d’arte. E lì l’artista àncora ed elabora sogni situati tra la materia e la luce o tra la materia e lo spazio.

E del resto, la progettualità in qualsiasi campo essa si eserciti non è un fatto astratto, che applica una forma o un progetto, ma nasce all’interno delle legalità e delle potenzialità dei materiali, dei volumi e delle forme e di quelle dei luoghi con le loro sedimentazioni storiche, con le loro memorie, con i loro segni. Materia e progetto nascono insieme. E l’arte restituisce alla materialità tutta l’infinità possibilità d’uso dei materiali e dei luoghi e li fa essere. Ogni materia e ogni luogo ha la sua storia, il suo vissuto, è espressione del fluire della sua esistenza, di una condizione e di un linguaggio.

Dunque due percorsi distinti che, convergendo nella modalità di sentire e di operare sulla territorialità dei luoghi, promuovendo incroci tra l’artistico, l’urbanistica e la comunicazione, sondano con i propri linguaggi costruttivi la labilità dei confini e le possibili soglie tra arte-architettura e metropoli. Aprono a riflessioni sul ruolo dell’arte e degli spazi espositivi, che oggi traslano dal piano dell’architettura a quello dell’urbanistica per delineare forme nuove di paesaggio.

E’ In questo senso, in questa mostra scultura e architettura, si confermano due discipline distinte che, tuttavia, risultano definitivamente e reciprocamente contaminate, al punto tale da mescolare e ibridare anche le categorie della funzionalità e della riflessività che sembravano appartenere in maniera esclusiva all’una o all’altra arte, per dar luogo ai nuovi vissuti del contemporaneo e delineare configurazioni possibili di spazio urbano dell’arte nella metropoli contemporanea.

 




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